Emigranti negli States, That’s amore e “tekkechance”

Una notte a Little Italy 

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Se vi dico emigranti italiani in America qual è la prima immagine che vi viene in mente? Poveracci, perlopiù del sud Italia, con valigie e fagotti chiusi alla buona, assembrati lungo il porto in attesa di imbarcarsi su una nave verso un mondo fino ad allora sconosciuto. Dal molo napoletano dell’Immacolatella non erano per la maggior parte napoletani ma contadini delle zone interne che prima di arrivare ai bastimenti non avevano mai visto il mare, quel mare che avrebbe fatto da sfondo al lungo viaggio verso l’America, terra di speranza e di fortuna ma anche di lacrime e nostalgia. Cosa poteva accompagnare questa gente oltre ai pochi oggetti e tanta fame di lavoro in una città straniera come New York? Le radici della propria lingua, ancor più del proprio idioma dialettale, quello impastato di storia, musica, abitudini e tanti coloriti modi di dire. Immaginate Napoli con i suoi vicoli stretti sormontati da vele sconsiderate di panni stesi al vento fra una finestra e l’altra, a spargere nell’aria l’odore della propria terra per far sentire gli emigranti meno soli.

Disperati alla ricerca di una giobba (job) finivano col fare i lustrascarpe

A guardare la prima foto che scorre alle spalle dell’autore ed interprete di questo sincero spettacolo, sembra davvero che fra quella New York e Napoli non ci sia molta differenza. I milioni di emigranti italiani nei primi del Novecento ed oltre andarono a popolare universi di vita in un mondo nuovo dove vivevano gomito a gomito con gruppi provenienti da altri paesi e spesso entrarono in collisione. Si unirono stringendosi attorno alla lingua italiana, o meglio al dialetto che ben presto si mescolò, sporcandosi ed arricchendosi allo stesso tempo nell’incontro con la lingua americana. Disperati alla ricerca di una giobba (job) finivano col fare i lustrascarpe, i venditori di noccioline, i suonatori di organetto per le strade, spesso accompagnati da bambini molto piccoli. Al di fuori della miseria dei ghetti e dei formicai dove dormivano stipati l’uno sull’altro, gli italiani avevano il mondo infinito e libero della musica e della canzone in cui potevano esprimere tutto il sentire più autentico di quella dimensione di malinconica distanza dalla terra natìa o dalle famiglie d’origine, e di farlo qualche volta anche con grande ironia e capacità di sorridere delle cose più pesanti della vita. Questo e molto altro è raccontato con strumenti differenti e grande autenticità nello spettacolo “Una notte a Little Italy”.

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Se andate ad assistere allo spettacolo di e con Francesco Durante preparatevi a vedere, anzi a partecipare, ad uno spettacolo variopinto, sincero ed acculturato, ma prestando attenzione a non farvi spaventare da quest’ultimo aggettivo. Il puzzle esuberante composto da canzoni, musica, parole e fotografie non è affatto una lezione benché Durante sia anche professore di studi italoamericani all’università Suor Orsola Benincasa di Napoli. Il palco piccolo del San Carluccio crea un’atmosfera di condivisone fra spettatori ed interpreti sulla scena, le gambe allungate dalla prima fila quasi arrivano a toccare i piedi di Durante mentre se ne sta seduto a raccontare una storia. Il racconto è intervallato dallo scorrimento delle bellissime fotografie d’epoca che ritraggono strade, carrozze, botteghe e soprattutto piccoli gruppi di emigranti alle prese con l’arte di arrangiarsi, che ha esito nell’invenzione dei mestieri più disparati per sopravvivere alla grande New York. Nello svolgersi della storia però hanno una funzione significativa le canzoni, la musica e il linguaggio fatto da una mescolanza di parole in dialetto napoletano ed inglese. Così la fattoria sarebbe la factory- fabbrica, il guappo è il wop,  e anche con altri termini Durante tenterà di far giocare il pubblico ad indovinarne la traduzione.

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Alcune delle più belle canzoni della tradizione napoletana da Core ‘ngrato  a Funiculì funiculà, proposta in una meno nota versione “patriottica”, vengono interpretate dal simpaticissimo Tony Laudadio e dallo stesso Durante con grande  semplicità e calore umano. Uno spiritoso duetto fra i due, in cui Laudadio, collana colorata e fiore in testa, dà vita alla coppia John e Mary,  che offre un’interpretazione briosa ed esuberante accompagnata dai bravissimi musicisti seduti agli angoli della scena. Qualche chicca speciale come il fumetto di Betty Boop deliziosamente accompagnato dalla musica di Where do you work-a John, o come lo spezzone del film The Caddy in cui uno sfavillante Dean Martin canta la celebre That’s amore, ci conducono verso la chiusura dello spettacolo, di cui però non racconterò per non privarvi della sorpresa musicale finale. Insomma, uno spettacolo godibile, seppur semplice nella messa in scena, autentico anche nell’emozione di qualche sbavatura organizzativa, gestita con grande classe e simpatia; una rappresentazione che insegna molti aspetti di una storia che ci appartiene, rallegra, ricorda e fa cantare. Una ragione di più per andarci è accomodarsi nella sala di questo piccolo gioiello di Napoli, fondato nel lontano ’72 da Pina Cipriani e Franco Nico, in passato scena per grandi artisti come Roberto Benigni, Massimo Troisi, Enzo Moscato e Annibale Ruccello, e molti altri, ai loro primi passi.

 

20140307_215050Una Notte a Little Italy di Francesco Durante, con Francesco Durante, Tony
Laudadio, Federico Odling, Vittorio Ricciardi.

di scena al Nuovo Teatro Sancarluccio

da venerdi 7 a domenica 9 marzo 2014

www.nuovoteatrosancarluccio.it