Canti della Passione di Cristo

damadakà2Canti della Passione di Cristo alle Catacombe di San Gennaro a Napoli. Una donna, una qualsiasi, cerca suo figlio, già prigioniero e ormai condannato. La storia ripete se stessa, in un moto perpetuo di dolore. Maria, la Vergine, dimentica del suo ruolo, della sua collocazione, diventa una madre, la primigenia madre, madre di tutte le madri che ancora oggi nel mondo piangono stordite l’omicidio della prole. Quale dolore più nobile e devastante può esistere nella vita se non quello di sopravvivere ai figli trucidati per volontà inumane? La stessa desolazione accomuna ogni donna, che sia una prostituta oppure colei che ha concepito senza peccato.

Damadakà Musica dalla Tradizione, ce lo racconta nello splendido scenario delle Catacombe di San Gennaro. L’aria è umida, poca la luce, il sito diventa palcoscenico restituendoci un’atmosfera senza confort, scomoda, come se volesse introdurci al lutto che si sta per rappresentare. Gli artisti in scena regalano al pubblico antichi canti, nenie dimenticate, frutto di un attento lavoro di ricerca, che vede i componenti stessi del gruppo impegnati nella valorizzazione e riproposizione di musiche, danze e canti della tradizione orale del Sud Italia ed in particolare della Campania.

Con il canto racconta della sua sventura di madre, lo racconta a se stessa perché altri sentano, perché altri comprendano

Il pubblico in piedi si guarda intorno, alza gli occhi verso le volte in tufo, quasi smarrito per tanto spazio. Palpabile il senso di attesa, cala il silenzio, ma la musica, triste e lieve, echeggia d’improvviso rimbalzando sulle pareti, mettendo in allerta i sensi. Occhi e orecchie ne cercano la provenienza, eccoli, in fondo alla navata di questa cattedrale sotterranea, frutto del genio umano che fu, due figure compaiono. Se ne aggiunge una terza, non ha occhi per noi, avvolta nei suoi abiti a lutto. Con il canto racconta della sua sventura di madre, lo racconta a se stessa perché altri sentano, perché altri comprendano. Siamo tutti complici del suo dolore. Recita una cantilena ipnotica la donna a lutto, una cantilena che solo la sopraffazione di un male troppo grande ed incomprensibile riesce a suggerire.

La musica diventa a tratti atonale, dura come sonori ceffoni che vogliono scuotere le coscienze

Gli anfratti e le gallerie laterali ben si prestano a diventare quinte naturali, dalle quali i componenti di Damadakà compaiono e scompaiono in un gioco di assenza e presenza di grande suggestione. La madre piangente avanza e in uno spontaneo corteo funebre il pubblico segue. Nessuno dei presenti è spettatore passivo. La messa in scena si svolge quasi mischiandosi agli spettatori, metafora perfetta della tragedia da cui non ci si può sottrarre, quantomeno emozionalmente. La musica diventa a tratti atonale, dura come sonori ceffoni che vogliono scuotere le coscienze, una riproposizione della catarsi greca.

damadakà1La genitrice addolorata, prostituta o vergine che sia, chiude lo spettacolo lanciando ai piedi del pubblico un sudario, simbolo della fine, della morte, del non più, simbolo di un interrogativo rivolto a tutti, stimolo crudo e inquietante a riflettere, a valutare in coscienza la propria responsabilità nel rendere, una vergine o una puttana, la madre di tutte le madri.

I miei personali ringraziamenti vanno agli artisti per l’immensa bravura:

Michele Arpa, voce

Daniele Barone voce e tofa

Dario Barone voce ed effetti sonori –

Mario Musetta voce, oud  e chitarra battente

Charles Ferris tromba –

Margaret Ianuario voce

Si ringrazia Paola Tufo per le fotografie.

Ritengo la narrazione uno dei piaceri più appaganti della vita. Amo le auto, da sempre. Il primo giocattolo che mi ha calmato da neonato è stato un modellino in latta. Adoro scrivere delle quattro ruote. Adoro scrivere in generale. Ci metto anima, istinto, ritmo e passione.