Da Franco. Se la pizza potesse parlare

Di alcune cose si dice che non c’è più niente da inventare. Che è stato fatto, visto, detto tutto. Come per i film per esempio. Gira e rigira, sempre la stessa cosa. Stesse trame. Solo salse diverse. Sorprendere, al cinema, è diventato quasi impossibile. E’ per questo che esiste il cineforum. Almeno si spende di meno.

Oppure come nel calcio. Fateci caso. Stessi schemi, stessi gol. Campionato dopo campionato. Differenze minime tra l’uno e l’altro. Stesse maglie, stessi stadi, stessi giocatori. Persino stessi problemi e stessi errori arbitrali. Se le pay tv offrissero a metà prezzo le repliche del campionato precedente ci si potrebbe fare un pensierino. Tanto, in fondo, è sempre la solita solfa.

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Oppure ancora la pizza. Farina, pomodoro, olio, mozzarella. Un pizzico di sale e una foglia di basilico. In forno per pochi minuti. Margherita. Tutte uguali. L’una come l’altra. Che ti vuoi inventare, in una Margherita? Peraltro per scorgere differenze in una pietanza così semplice ti ci devi applicare parecchio. Ma anche di pizze più complicate si può dire lo stesso. Quattro formaggi, Quattro stagioni. Capricciosa – con o senza olive, con o senza acciughe. In fondo sono tutte uguali, e la scelta della pizzeria può basarsi sul prezzo, o la distanza da casa.

Ma poi ci sono gli imprevisti. Le cose che sparigliano le carte. I fuoriclasse. Ne nasce forse uno per generazione. Nasce Al Pacino e film come Scarface diventano possibili. Nasce Maradona e il calcio da sport assurge al mito.

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La premessa è volutamente eccessiva. Ma anche Franco Gallifuoco è un fuoriclasse. Perché non diversamente da Pacino e Maradona, ama il suo lavoro. E quando il talento si unisce alla passione l’alchimia è sempre perfetta. Questione di chimica, per chi non crede alle cose dello spirito. Ma se la pizza ha un’anima, Franco la sa cogliere; se potesse parlare, v’assicuro che pronuncerebbe il suo nome.

Se si potesse celebrare un matrimonio tra i sapori, Franco sarebbe lì a officiare le nozze

Se si potesse celebrare un matrimonio tra i sapori, Franco sarebbe lì a officiare le nozze, con la sua tenuta bianca che pare una tunica talare. Lo si può ben vedere dando un’occhiata al menù estivo della sua pizzeria, che accoglie come una madre i viaggiatori in uscita dalla stazione centrale. Di Napoli, ovviamente. Sa di taverna la pizzeria di Franco, di osteria d’altri tempi. E nel suo seminterrato il tempo scorre lieve. Non c’è fretta. Non dovrai alzarti appena dopo consumato. Nessuno t’incalzerà. E anzi arriveranno Franco e sua madre, a intrattenerti raccontandoti delle loro pizze, e della loro storia.

Della Cozze e Nduja, consigliatissima solo a chi sa a cosa va incontro. O della Ricotta e Pera, con la polpa zuccherina del frutto spolverata cruda in cima, a fine cottura: per palati raffinati. O della Maccaus (sic!, ci sono onori che non si dimenticano, NdA), che ricalca alla perfezione la ricetta della norma siciliana. O ancora la Pàura, con lardo di Colonnata abbondantemente ricoperto di cacao amaro.

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Virtuosismi, diranno alcuni storcendo il naso. Non è così. Perché Franco si diverte col suo mestiere, e lo consegna alla gastronomia senza girare le spalle alla tradizione. Anzi: mai tradizione è stata più rispettata, e ne è conferma l’impasto a farina di tipo uno. Niente doppizeri nella pizzeria di Franco. Perché quando la pizza fu inventata non esistevano farine raffinate, introdotte solo dopo, nel dopoguerra, dagli americani. La sua pasta è meno elastica ma è altrettanto sottile. E sa di pane. E’ sapida, consistente, con connotazioni di gusto spiccate. Ha personalità. E soprattutto è soffice come una nuvola e, se solo proverete a frugare dentro il cornicione, non potrete non notare che dentro è cavo. Come per magia. Fatela assaggiare al nonno: vi risponderà che una volta – quando i treni arrivavano in orario e lì era tutta campagna – la pizza era proprio così.

chiedete pure al nonno: una volta la pizza era proprio così.

Tradizioni di un tempo, spunti che assecondano le tendenze della moderna gastronomia, eccellenza delle materie prime. Con un’offerta che contempla anche tutti i piatti della tradizione napoletana, una selezione di birre artigianali e una collaborazione con la maestra gelatiera Pina Molitierno di Vacilla Ice Lab. Sono queste le frecce all’arco di Franco, e state pure certi che quando sarete andati a trovarlo la sua mente avrà sfornato altre dieci ricette, sempre originali e sempre azzeccatissime. Il suo forno, signori, è un laboratorio; la sua cucina un banco di scuola. E’ di pochi giorni fa, ad esempio, la trovata della pizza sorrentina, con l’immancabile fragranza del limone della Costiera. Limone sulla pizza, proprio così. Coi calamari. Genio e sregolatezza. Andate ad assaggiarla, prima di stracciarvi le vesti di dosso.

Franco è così. Tradizione e modernità. Strizza un occhio alle nuove tecnologie, col wifi per tutti, i QR code, il menù digitale in diverse lingue e l’app per i telefoni cellulari. Riceve le ordinazioni via Facebook Messenger.

Porge l’altra guancia ai detrattori e ai tanti – anzi: troppi! turisti per caso della sedicente “vera pizza napoletana”.

E tende anche una mano al sociale, preoccupandosi di non lasciare nessuno indietro. Quella di Franco è sinora l’unica pizzeria a Napoli a offrire menù in braille ai clienti non vedenti. Perché l’unica cosa che un cliente da Franco non deve vedere, dev’essere l’ora di assaggiarne la pizza.

Andate a trovarlo. A chi gli presenterà questo articolo a fine pasto (non sprecate carta: andrà bene anche al cellulare), Franco offrirà il suo (ottimo!, NdA) caffè.

Siamo stati alla presentazione alla stampa del menù estivo 2016 del

Ristorante Pizzeria da Franco

Corso Arnaldo Lucci, 195/197, Napoli

 

L’idea di creare amuse .it è stata sua. Ma è il suo unico merito, tutto il resto è opera di tanti altri. Non va mai a dormire se non è morto di sonno. Scrive dalla tenera età; ama viaggiare, scoprire, conoscere. Emozionarsi.