Ferite nascoste, trattative riservate

Un calendario lungo anni. Nomi su nomi che ricordano santi traditori e franchi tiratori. Un esercizio mnemonico a cui il pasoliniano “Paese senza memoria” ha già voltato le spalle.

Un macabro quadro che passo dopo passo si compone. Pennellate di foto e collegamenti che il “pittore di scena” Francesco Gerardi, con disarmante lucidità, organizza sulla tela della logica e di una verità accertata che sottende a molto altro.

Politici e parapolitici, militari e paramilitari, criminali e paracriminali, tutto un dedalo di relazioni che si muovono sul filo flebile che demarca troppo poco la differenza tra il lecito e “il reato che a volte serve al bene del popolo” .

Interessi nazionali che cedono il passo da quelli, di natura drammaticamente egemonica, internazionali. Popoli che si contendono la guida del governo italiano attraverso organizzazioni di dubbia trasparenza e che si contendono anche uomini influenti e impronunciabili segreti e irrisolvibili misteri.

Un trionfo di colori declinati su una scala di grigi interminabile, grigi come certe “eminenze”

Un trionfo di colori, quello de “La ferita nascosta”, tutti declinati su una scala di grigi interminabile, grigi come certe “eminenze” attraverso le cui mani il ricatto allo Stato diventa “semplice richiesta” e la proposta di accordo alla criminalità diventa “trattativa”.

Dopo due anni di ininterrotti studi, ricerche, letture e interviste, Gerardi compone con oculatezza e dovizia di dettagli un grande libro di storia che strizza l’occhio a quelle importanti indagini giornalistiche che non esprimono giudizi morali o di merito, ma prendono lo spettatore dal limbo dell’informazione sommaria e lo conducono per mano dentro un ragionamento socratico alla cui soluzione ognuno arriverà da sé, senza costrizioni, senza faziosità.

“La ferita nascosta”, spettacolo scacchiera in cui ognuno di noi è pedina colpevolmente inconsapevole, ci porta fino al 9 maggio del 1978, facendoci scontrare con Re, alfieri e torri un tempo inaccessibili ma oramai ridotti a templi del male decaduti, e tra le cui macerie ci si muove con religiosa circospezione tentando di restituire il rispetto dovuto a un Uomo, Aldo Moro, che ha creduto fin troppo nelle istituzioni che lui stesso incarnava. Il silenzio in sala è stato rotto solo dal rumore degli occhi che finalmente si sono aperti su una pagina di storia d’Italia di grande miseria intellettuale e non solo, che con grande evidenza, e con banalissimi cambi nome, offre la sua “longa manus” agli sciacallaggi istituzionali attuali.

E poi anche dai tanti applausi. Il silenzio è stato vinto dal compiacimento che il pubblico ha avuto di conoscere, di scoprire, di capire.

 

Completa il cast la buona spalla dell’ottimo Gerardi, Matteo Campagnol.

L’attenta regia è stata curata da Gigi Dall’Aglio.

 

Abbiamo visto “La ferita nascosta”, in scena al teatro Planet, via Crema 14, Roma.

 

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