Se scoprissi un tesoro, cosa faresti? Lo terresti solo per te oppure penseresti di condividerlo?
Questo spettacolo nasce proprio da un evento a sorpresa, da un Inno di Gaetano Donizetti rinvenuto dal Maestro Enzo Amato, chitarrista, compositore, direttore d’orchestra e studioso del Settecento Napoletano. Opera rinnegata dal Donizetti stesso, poiché eseguita il giorno dopo la scomparsa dell’amata moglie Virginia al Teatro San Carlo di Napoli, e per questo sempre accostata a tale evento luttuoso.
È severa la drammaturgia di Mocciola. Il suo Donizetti è disperato, sopraffatto dal dolore, consumato dalla malattia, folle, in crisi, in fuga da sé stesso, ma condannato a ritrovarsi continuamente
Antonio Mocciola restituisce, con la sua scrittura e la sua regia, quest’opera preziosa al pubblico, finora privato di tanta bellezza. È severa la drammaturgia di Mocciola. Il suo Donizetti è disperato, sopraffatto dal dolore, consumato dalla malattia, folle, in crisi, in fuga da se stesso, ma condannato a ritrovarsi continuamente. Un Donizetti semplicemente uomo comune, in pigiama, privo di ogni dettaglio divistico, a piedi nudi, svuotato nell’anima come tanti altri, un uomo moralmente perduto che cerca di trovare una ragione per la sua condizione. Nulla lo consola, immenso e profondo il suo dolore. Gaetano ha cristallizzato il tempo dietro una porta che discrimina il prima e il dopo la scomparsa di Virginia: la vita, prima, la disperazione irredimibile, dopo. Amore e vita, prima. Buio e morte, dopo. Si può essere morti pur restando in vita, sembra chiedere Antonio Mocciola attraverso la voce di Donizetti. Può esserci una ragione di rinascita? Forse è possibile, tanto che: ma scrivere musica bisogna, cantare bisogna, sempre. E torna la luce, e torna la voce. Il corpo di Donizetti è decadente ma non il genio, che rimane intonso. Bella la scrittura di Mocciola, bello il sottostante pensiero che diventa metafora universale, che travalica la specifica narrazione dei fatti per diventare esempio su cui riflettere.
Mentre Donizetti grida, sparla e racconta, come in un sogno, sale la voce di una Gabriella Colecchia in formissima, impegnata in un repertorio che sicuramente esalta appieno le sue magnifiche doti vocali. Sempre elegante, anche nella gestualità. Sempre misurata, con le opportune coloriture, mai inutili e ridondanti, fare spesso abusato da qualche collega, utile forse alla vanità personale, poco al godimento del pubblico. La forza della Colecchia sta nel raccontare una storia, prima che cantare un’aria. Lei conosce il testo nell’intimo; il contesto, lo stato d’animo del personaggio e dell’autore. La bravura di Gabriella Colecchia sta nel fatto che mette se stessa a disposizione della musica, delle composizioni, e non il contrario. Gabriella non canta per apparire la più brava del reame. Gabriella canta per restituire al brano autenticità. È questo meccanismo virtuoso che la rende poi effettivamente la più brava.
Unico strumento in sala, un pianoforte, a rendere ancora più intensa la suggestione, più raccolta l’atmosfera. A far vivere le note, preceduto dalla sua fama, il Maestro Gianni Gambardella, artista sensibile, uomo di musica in ogni sua cellula. Gambardella il pianoforte lo tratta con il rispetto che si deve ad un essere vivo. Non ho avuto modo di chiederglielo ma penso che questa sia la sua idea: il pianoforte ha un’anima. Gianni Gambardella suona con tutto il corpo. Se vi dovesse capitare di vederlo dal vivo durante un concerto, non limitatevi ad ascoltarlo, ma guardatelo mentre tocca i tasti. Capirete meglio cosa vuol dire produrre musica, viverla e non eseguirla semplicemente.
Il teatro è finzione reale. Ciò che dici è già detto. Non c’è possibilità di correzione. Mi stupisco ogni volta.
La pièce ha potuto contare su tre piani narrativi: la musica, il canto e la drammaturgia. A recitare il testo, Giovanni Allocca, che ha reso vivo e vero, lì, davanti al nostro sguardo, Gaetano Donizetti. Non è rarissimo che gli attori entrino in scena dalla platea, ma in questo caso è stato davvero coerente con lo stato d’animo del personaggio. Allocca ha conferito a Donizetti tutta la disperazione della sua condizione, provocando nel pubblico immediata empatia, un coinvolgimento sincero. Non si è risparmiato assolutamente, dando prova attoriale di assoluta rilevanza, sostenendo un ritmo sempre alto, quasi guidando il pubblico verso un corretto modo di seguire la struttura dello spettacolo. L’alternanza del recitativo con il canto non l’ha mai distratto dalle giuste dinamiche ritmico-espressive proprie del ruolo. Non hai mai sbagliato una sillaba, mai una lettera scorretta, per un testo che breve non è. Mia massima ammirazione e fonte di sana invidia. A volte penso a quale e quanta responsabilità possa sentirsi sottoposto un attore teatrale. Il teatro è finzione reale. Ciò che dici è già detto. Non c’è possibilità di correzione. Mi stupisco ogni volta.
Bella squadra, questa. Belle sensibilità a disposizione dell’arte. E non è assolutamente cosa scontata. Bella scrittura, bel canto, bella musica, coinvolgente recitazione. Sono uscito sentendomi un privilegiato, un uomo fortunato per aver potuto acquisire un pezzetto di bellezza da conservare tra i miei ricordi. Rammentate questo titolo. Appena sarà rappresentato nuovamente, non perdetelo.
Abbiamo visto
Donizetti, Amore e Morte
Presso Domus Ars
Si ringrazia Ufficio Stampa
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