È un’emozione non da poco rivivere le luci che si fanno soffuse in teatro, il sipario che si apre, gli attimi di silenzio che precedono le prime battute. Al Mercadante di Napoli è andato in scena Spacciatore, una sceneggiata, ultima fatica di Andrej Longo, che firma la drammaturgia, per la regia di Pierpaolo Sepe. Una riproposizione moderna della classica sceneggiata napoletana, drammatica e molto brillante, e non priva di spunti comici, godibilissimi e armonicamente interpretati da un eccellente Stefano Miglio, che straccia letteralmente la quarta parete.
Un taglio di regia che lascia la narrazione senza eroi
Il testo, interamente vernacolare, propone il classico spaccato di una napoli popolare, succube della subcultura camorristica e del malaffare. Un taglio di regia che lascia la narrazione senza eroi, e in cui i protagonisti, nonostante ogni buona volontà rimangono irredenti e intrappolati nella loro stessa cultura. Le magistrali interpretazioni del cast – Mariachiara Basso, Ivan Castiglione, Riccardo Ciccarelli, Roberto Del Gaudio, Daniela Ioia, Daniele Vicorito – non riescono però a rendere giustizia al testo, i cui ritmi procedono sottotono, e il cui messaggio insiste fin troppo nella direzione dell’accoglimento benevolo di una cultura che, se da un lato lascia poca scelta, dall’altro non merita comunque di essere esaltata, anche e nonostante l’ambito del genere portato in scena. Non si tratta di dover costruire artifiziosamente una speranza che la drammaturgia può legittimamente scegliere di non volere offrire, quanto di veicolare impietosamente e con tenacia il messaggio che una scelta davvero non ci sia, quando in effetti una scelta c’è sempre.
Al netto del dramma d’amore, meritevole per scrittura e resa artistica, è desolante vedere il testo districarsi tra uomini e mezzi uomini senza speranza, uno spacciatore a cui non è offerta una seconda possibilità, un poliziotto corrotto vittima di se stesso, un genitore fallito e una capozona che si arrabatta tra droga e prostituzione, e le cui tinte fosche e cupe vengono rischiarate dalla sola magistrale interpretazione di Daniela Ioia, che conferma se stessa.
Ad avere la peggio, in un destino senza scrupoli, sono l’onesto e il fragile
Ad avere la peggio, in un destino senza scrupoli, sono l’onesto e il fragile, schiacciati in una realtà fuori dal loro controllo e persino più dura in scena di quanto concretamente non sia nella realtà.
Ma è soprattutto l’esaltazione dell’arte dell’arrangiarsi e la sua puntuale giustificazione, anche quando il portare il pane a casa sconfina nell’illegalità, a fare storcere il naso, e non possono a tal proposito, riportando i fatti alla realtà, non affacciarsi alla mente le vicende relative alle edicole votive dedicate a Napoli a camorristi e delinquenti comuni caduti in servizio, o scene della peggior Gomorra, tese ad affrancare la cultura camorristica in nome del buon diritto di ogni padre a sfamare la propria famiglia.
In sintesi, una rappresentazione inedita e tutto sommato ben riuscita della sceneggiata napoletana, interpretata da un cast di alto livello per presenza scenica, da consigliare certamente dopo una lunga astinenza dal teatro, che però non convince per alcune scelte della drammaturgia e per una regia che ci sarebbe piaciuto trovare più incalzante nei ritmi.
Ritornare a teatro resta di gran lunga, comunque, l’emozione più grande.
Abbiamo visto
Spacciatore, una sceneggiata
al Teatro Mercadante di Napoli
per la produzione Teatro di Napoli
di Andrej Longo e Pierpaolo Sepe
Musiche e canzoni di Francesco Forni
Si ringrazia l’Ufficio Stampa