Si torna in scena: Inventario di cose perdute (ma non ancora dimenticate)

Cosa vogliamo davvero per noi stessi?

Sarà forse il desiderio vanaglorioso di essere ricordati in perpetuo? Cosa vuol dire perdere? È vita: per accumulare esperienza è necessario assaporare il gusto amaro della sconfitta. E la cosa fa paura, così tanta da farci ricercare una moltitudine di sotterfugi apotropaici. Perdiamo cose, persone, occasioni.

È proprio questo argomento che viene affrontato in maniera molto profonda in “Inventario di cose perdute”, tratto dall’omonimo libro di Judith Schalansky, che Vesuvioteatro, per la rassegna “Racconti per Ricominciare“, ha inscenato in una delle più belle e antiche location del vesuviano: Villa delle Ginestre a Torre del Greco, la casa della poesia nella quale Leopardi venne a curarsi dalla tubercolosi.

La rappresentazione si apre in una parte antistante la villa con un bellissimo monologo interpretato da Antonello Cossia, migra poi verso un’altra area, e così, dopo il primo atto, si esplora un percorso che porta sul retro, dov’è messo in scena a un secondo intenso monologo interpretato da Ernesto Lama. Un excursus tra il perso e ritrovato, col quale si racconta il percorso storico della trasformazione dell’uomo quando da nomade divenne stanziale e gli innumerevoli cambiamenti che ciò ha comportato.

Cosa vuol dire perdere? È vita: per accumulare esperienza è necessario assaporare il gusto amaro della sconfitta

Si passa poi al terzo monologo, che vede sulla scena una bravissima Rebecca Furfaro, nel giardino retrostante dal quale si affaccia un fantastico scenario con alle spalle lo “Sterminator Vesevo“. Il testo è incentrato sui possibili luoghi che si conoscevano un tempo, luoghi cancellati, andati perduti e dei quali ormai non resta che un nome che echeggia nei trattati o in antiche carte geografiche. Rebecca è una bibliotecaria che in chiave antropologica descrive viaggi ed esplorazioni quasi mitologiche.

Si giunge infine al quarto atto, ambientato in un piccolo labirinto nel giardino superiore della meravigliosa location, eseguito da Andrea de Goyzueta, che si affronta l’argomento della tutela della sopravvivenza delle cose nascoste. Così l’autore ci racconta come l’uomo sia stato sempre attratto dalla terra e dai suoi doni, e dall’acquisizione della conoscenza, una conquista che quando è tardiva ha “il sapore amaro dei frutti acerbi”.

Se è vero che la nostra memoria visiva viene giorno dopo giorno un po’ sostituita dalla fotografia digitale, una domanda nasce spontanea: quanto perderemo di noi stessi, della nostra capacità di ricordare, della nostra necessità di immagazzinare le scene, gli oggetti, i ricordi della nostra esistenza?

 

Abbiamo visto

Inventario delle cose perdute, tratto da Judith Schalansky

nell’ambito della Rassegna Racconti per Ricominciare.

Si ringrazia l’ufficio stampa

foto: PLKS / Racconti per Ricominciare