Un teatro immaginifico, di reale sperimentazione, che propone se stesso in inedita veste, volta a rendere la scena immersiva, concreta, ad abbattere le distanze pur rimanendo, paradossalmente, ancora più distanti.
Non si tratta qui dei soliti escamotage per ridurre lo scarto con la quarta parete. La scena è posta più in alto del previsto, ed è come se dall’alto la si seguisse, vivendo una esperienza onirica. Noi siamo lì; vicini, eppure distanti. La magnificenza delle scene, curate in ogni minuzioso dettaglio, più reali del reale, contribuisce alla sospensione dell’incredulità: oltre quella porta, ne siamo certi, c’è davvero Budapest.
E i fatti della contingente attualità, la cronaca del conflitto in corso, regalano alla rappresentazione un imprevisto vantaggio: è facile, immediato, tracciare un parallelo tra la distruzione della casa e gli orrori della guerra.
Al centro, due storie. Storie di vita consecutive, a tratti sovrapposte, che parlano di miseria e di umanità. Che denunciano il razzismo, come tratto principale dell’intendimento narrativo.
la casa si destruttura, si riduce a scatola
Ma il fulcro è la casa, che nel teatro è teatro di tutte le nostre vicende personali, palcoscenico di gioie, speranze e delusioni. Luogo emblematico nel quale percorriamo il nostro percorso di vita, costellato di oggetti, ciascuno con la propria storia, ciascuno con un marchio, ciascuno con una certa appartenenza. Ed è carico di significati il prodigioso artifizio scenico mediante il quale la casa si destruttura, si riduce a scatola, e gli oggetti, i nostri oggetti, si svuotano di significato e perdono l’appartenenza, ridiventando cose e proiettando nella nostra anima il senso illusorio del loro segno. Mentre cadono e si frantumano ci sentiamo sconvolti, svuotati dentro, nel constatare che la scatola ridiventa casa attraverso una ricostruzione fondata, come tutte le ricostruzioni, sulle macerie della vita, di una vita, precedente.
La contaminazione cinematografica è l’elemento in più che conferisce piena partecipazione alla scena, marcando netti stacchi narrativi, che non ritrovano però, nell’alternarsi sapientemente equilibrato delle configurazioni del testo, soluzione di continuità.
Una rappresentazione coraggiosa, ricca di metafore e metasignificati, che denuncia con forza il razzismo, mantiene viva la fiducia nell’umanità e realizza una vera epifania scenica che ciascuno può riempire con la propria esperienza, tessendo il senso delle proprie cadute e delle proprie ricostruzioni e realizzando il fine di una coscienza collettiva fatta di eventi individualmente peculiari che, complessivamente, risultano essere il tratto fondante d’unione dell’umanità.
Abbiamo visto:
Imitation of life
Kornél Mundruczó / Proton Theatre
regia Kornél Mundruczó
con Lili Monori, Roland Rába, Borbála Péterfy , Zsombor Jéger, Norton Kozma
scena Márton Ágh
costumi Márton Ágh, Melinda Domán
luci András Élteto
scritto da Kata Wéber
drammaturgia Soma Boronkay
musica Asher Goldschmidt
assistente alla regia Margit Csonka
producer Dóra Bükial Teatro Bellini di Napoli
Si ringrazia l’Ufficio Stampa