Kobane calling on stage

Il teatro ricomincia da Kobane! Per me è così, “Kobane calling on stage” fu l’ultimo spettacolo che vidi. Poi la pandemia a chiudere ogni porta, ogni affaccio sul mondo. Quella volta me la presi comoda, ero presente in via informale, non dovetti parlarne, scriverne. Uscii in silenzio dal Teatro Bellini di Napoli per tornarmene a casa col cervello zeppo di pensieri ma con il privilegio di poterli tenere per me, nessuna discussione dopo teatro per fortuna, nessun pezzo da scrivere, nessun punto di vista diverso dal mio su cui dovermi confrontare.

L’opera omonima del fumettista Zerocalcare, riprende la sua missione di raccontare al mondo le storture di una contemporaneità solo apparentemente libera e democratica

Ancora una volta, sulle tavole dell’ottocentesco teatro napoletano, ricomincia la narrazione. L’opera omonima del fumettista Zerocalcare riprende la sua missione di raccontare al mondo le storture di una contemporaneità solo apparentemente libera e democratica. Un reportage in forma grafica del viaggio che ha portato l’autore al confine tra la Turchia e la Siria, a pochi chilometri dalla città assediata di Kobanê, tra i difensori curdi del Rojava, opposti alle forze dello Stato Islamico.

Una cosa mi ha fatto amaramente sorridere: cruda e feroce era due anni fa la realtà rappresentata e cruda e feroce è rimasta, intatta nella sua ributtante sfacciataggine. È anomalo questo spettacolo, in senso buono s’intende. Non è la classica piece che t’aspetti andando a teatro. Questa è una sorta di documentario, in diretta però, con un nutrito gruppo di attori impegnati a presentare un diverso punto di vista sulle ragioni del combattere, un capovolgimento delle interpretazioni, una normalizzazione degli eventi. Ci siamo mai chiesti come mai nasce un conflitto? Chi lo vuole veramente? A quale scopo si distrugge un territorio che sembra essere ambito a tal punto da rischiare la vita per averlo? Non è facile comprenderlo e forse non ci sarà mai un modo per spiegarlo. Un po’ come i malavitosi che arricchiscono seminando morte,e poi vivono in ville bunker, nascosti come topi di fogna. Eppure, mai rinuncerebbero a questo modo di esistere. 

Il teatro è sempre stato un luogo di riflessione, una fabbrica di interrogativi. Ed anche questa volta non viene meno alla sua funzione stimolatrice. Ieri sera pensavo che se in quel momento, durante lo spettacolo, qualcuno mi avesse chiesto un sinonimo per la parola mistero, avrei risposto Turchia e Stati Uniti. E mi chiedevo com’è possibile pensare che certi Stati possano essere accolti nel sistema politico di cui fai parte, che pur ripudia guerre e discriminazioni, eccidi, stupri ed ogni forma di violenza. E ti chiedi, incalzato da quello che senti dire sul palco, come sia possibile far passare per normale l’anomalia. Ecco, l’anomalia è diventata sinonimo di verità assoluta e non me ne sono accorto? 

Hai solo il vantaggio, per ora, che la tua gente non venga soppressa, umiliata, stuprata, discriminata. Ma è solo questione di tempo

Correre con la mente al conflitto in Ucraina è un attimo. Gli ingranaggi sono diversi, le culture, gli spazi, l’aria stessa è diversa, ma la matrice è identica, impastata di violenza, sopruso, di meccanismi politici deviati e manipolazioni sociali. E noi lì, a fare il tifo, come per la più lercia partita di calcio. Insomma, cambiano le regioni del mondo perchè nulla cambi. Esistono davvero persone capaci, mentalmente intendo, di mettere su tanta distorsione, di renderla verosimile, accettabile? Ma che tipo di cervello hanno queste persone? Che visione del mondo posseggono che a noi comuni mortali sfugge? E un po’ di panico ti prende, credetemi. Nonostante il linguaggio lieve, ingenuo, pulito, tipico dell’autore, gli attori ti parlano comunque di orrore, stridente e doloroso, ma inevitabile. E ti dicono pure: caro mio, tu credi di essere un privilegiato, ma non lo sei per niente, sei vittima quanto me. Hai solo il vantaggio, per ora, che la tua gente non venga soppressa, umiliata, stuprata, discriminata. Ma è solo questione di tempo. E allora pensi che forse l’hai fatta franca, che non avrai il tempo di vedere che accada, ma poi il pensiero va ai tuoi affetti più giovani, ai figli, ai nipoti. E non puoi pensare che quella bimba che consoli se solo inciampa, possa diventare giocattolo di un carnefice. E capisci che l’orrore, il terrore, in piccola parte già ti appartiene.

Il nostro quartiere è troppo piccolo per essere un universo intero!

Zerocalcare pone un grande accento sulla visione fin troppo provincialistica che abbiamo del mondo, e che appartiene alla maggior parte di noi. Quante volte pensiamo che la nostra Nazione, la nostra regione, la nostra città, perfino il nostro quartiere siano modello assoluto di riferimento culturale, sociale, economico. Siamo sempre il centro di tutto, atomizzati, abbacinati sulla mentalità del non voler vedere, del non voler sapere. Una forma di difesa forse, ma a pensarci bene un dolente punto debole: se non sai in realtà sei indifeso, scoperto, senza strumenti. E allora andatelo a vedere questo spettacolo. E non tanto per il valore artistico, indubbio, ma per lo spessore morale prima di tutto, per il grado di consapevolezza che induce, per la miccia al culo che innesca. Andateci a cuore aperto, a mente aperta, e soprattutto concentratevi sul sottotesto. Facciamo tutti lo sforzo, spingiamo per cambiare approccio. Il nostro quartiere è troppo piccolo per essere un universo intero!

Zerocalcare con Daniele Russo

Abbamo visto “Kobane calling on stage”

al Teatro Bellini di Napoli

Si ringrazia l’Ufficio Stampa

 

Ritengo la narrazione uno dei piaceri più appaganti della vita. Amo le auto, da sempre. Il primo giocattolo che mi ha calmato da neonato è stato un modellino in latta. Adoro scrivere delle quattro ruote. Adoro scrivere in generale. Ci metto anima, istinto, ritmo e passione.