C’è un vuoto opprimente e insieme liberatorio che aleggia immanente tra le scene essenziali del Giardino dei Ciliegi, secondo Alessandra Serra. L’ultima opera di Čechov conclude la stagione del teatro napoletano, ridisegnando gli spazi e ricostruendo i rapporti tra borghesi e aristocratici, senza tradire la vena farsesca tanto cara all’autore russo, che si fa gioco del potere deridendolo e mettendone in luce i tanti vizi e le poche virtù.
In assenza di scene, sono i corpi al centro di tutto, e il talento mimico dell’intero cast rende giustizia sia al testo che alla regia. I servi si fanno padroni, perché dei padroni non valgono meno, e questi ultimi, privi di denaro, non sono che scarti di lavorazione della storia che avanza. Il giardino è il divenire, e le resistenze nostalgiche che lo vogliono preservare sono tanto romantiche quanto opposte al progresso. Il futuro ci circonda, ignoto, vuoto, spoglio come tutta la scenografia che ne è a contorno.
Una piece che rimanda ad altre epoche – un giusto e necessario tributo alla cultura russa, cui tanto tutti dobbiamo – con tratti marcatamente ideologici e politici, che lascia il segno ed è segnale insieme, di una magnifica stagione, e di quella che si prepara in divenire.
Abbiamo visto:
Il giardino dei ciliegi
di Anton Pavolovič Čechov
uno spettacolo di Alessandro Serra
al Teatro Bellini di Napoli
Si ringrazia l’Ufficio Stampa