Fattocchiarìe. C’è la magia, certo, ma anche l’astuzia delle janare; c’è l’allegoria, la metafora, l’utilizzo sapiente della retorica, e un intreccio di suggestioni tra sacro e profano che rendono giustizia al racconto, in tre parti di Marco Sgamato, andato in scena alle Terme Stufe di Nerone a chiusura della rassegna annuale di Teatro alla Deriva, per la direzione artistica di Giovanni Meola.
Una rappresentazione colta e delicata, che lascia ampio spazio all’ironia
Si spazia dal Decameron di Boccaccio, con prodigiosa esecuzione tecnica, all’abiura delle janare di Capua, per pervenire alla denuncia civile legata al pregiudizio omosessuale, con un godibilissimo finale comico.
Marco Sgamato è brillante in ogni esecuzione, perfettamente a proprio agio nel gioco delle parti; riempie la scena di innumerevoli comparse, nonostante egli sia da solo, facendo perdere traccia allo spettatore di assistere a un monologo.
I personaggi sono caratterizzati a regola d’arte, e la narrazione è intensa e mai banale, e soprattutto accompagna in un viaggio nel tempo dai toni metafisici, alla scoperta delle declinazioni che in ogni tempo, e in questo luogo, si sono accostate al termine Fattocchiarìe.
Nondimeno l’orgoglio omosessuale può essere visto come una moderna Fattocchiarìa, in chiave di forza dirompente che sovverte il comune sentire, che si fa beffe del pensiero benpensante, che affonda con sprezzante ironia il contello nella piaga del perbenismo.
Una rappresentazione colta e delicata, che lascia ampio spazio all’ironia e che, con la forza della metafora e con un piglio tecnico di primo livello, ha davvero qualcosa da raccontare, rafforzata nella sua narrazione dalla splendida e suggestiva cornice del teatro in zattera.