La Cupa, sublime allegoria di Mimmo Borrelli

C’è una potenza primigenia che si sprigiona sul proscenio, tra canti, balli, meschinità e facezie di uomini, donne e bestie. Sventura e dannazione, oscenità e sacrilegio, si condensano nella lettura di Mimmo Borrelli de La Cupa, fabbula di un omo che divinne un albero, che ha aperto la stagione 2023 del Teatro Bellini di Napoli.

Trasuda di incanto la scena, ma si tratta di un incanto funesto, blasfemo, terribile. Sublime, nel senso kantiano del termine. Nella notte di Sant’Antonio le bestie potevano parlare agli uomini, ma tutto questo ha un prezzo, la cui moneta è il salasso dell’anima.

La bestialità è il tema centrale, così come l’umanità, e la dicotomia tra i due termini opposti si nutre dell’essenza dello spirito, appagando se stessa e chiudendo parentesi strettissime, che sottintendono cose terribili, che bestie e umani si vorrebbero dire da sempre, ma non si dicono che in quella notte.

 

 

Si realizza una vera osmosi, ed è tragico assistere impotenti alla realizzazione del sacro nel profano, e del profano nel sacro. C’è in noi tanta bestia quanta umanità c’è nell’animale, pare sussurrare la scena, dalla pregevolissima coreografia. Il linguaggio della narrazione è criptico, urlato, sospirato, protervio e incline allo scandalo. Il volgare è qui presente nella intimità della narrazione, vi affonda le radici, ci si trova a proprio agio, gli è naturale. Si presenta con la propria essenza più vera.

Mette persino disagio, per quanto è vero.

Ma ancora più potente è l’allegoria, sempre presente, e osannata dal testo come madre di ogni figura retorica. Una rappresentazione crogiolante di segni, da decifrare, blasfema e insolente, vera delizia per gli amanti del teatro e magnifica apertura di stagione per il Teatro Bellini.