Chi vince, o forse semplicemente chi ha voglia di scrivere la storia, impone sempre il suo punto di vista come l’unico possibile. E spesso sono stati i maschi ad avere quella voglia, quella smania di raccontare, di classificare, di giudicare, soprattutto di esprimere giudizi definitivi sulle donne. Ieri sera, mentre assistevo alla prima di Salomé, al Teatro Tram di Napoli, pensavo che culturalmente siamo abituati a credere a ciò che è scritto, tramandato, fortificato dal passare di un tempo miope e bradipo.

Sulle tavole del palcoscenico c’era una ragazza, con sua madre e il marito di quest’utima. Una giovane ragazza entrata nel mito. Cosa le ha fatto guadagnare l’immortalità storica? L’essere zoccola. Lo hanno deciso diversi uomini e tante donne con una mentalità maschilista, perché a me sembra chiaro che il maschilismo o il femminismo non vadano necessariamente a fare il paio con il sesso di appartenenza. Certo, di lei ne ha parlato la Bibbia, Wilde, Flaubert. Addirittura Mina ne fece il titolo di un suo album. Ne ho cercato il motivo, ma con scarsi risultati. In copertina la cantante portava la barba, forse proprio a ricordare ad alcuni che si può essere zoccola pur urinando in piedi.

Insomma, in scena c’era un classico ed io ne facevo un questione sociale man mano che si andava avanti

Insomma, in scena c’era un classico ed io ne facevo un questione sociale man mano che si andava avanti, davvero non me ne facevo capace. Il patrigno poco ci manca che affondi il naso tra i glutei della ragazza, azione evitata solo perché la moglie lo sgrida intimandogli di smettere di guardare la luna (che luna strana…), sbrodola letteralmente saliva a bocca spalancata, quasi la violenta incurante della presenza della consorte, e poi Salomé sarebbe la zoccola, mi chiedevo.

I classici possono essere una vera bomba qualche volta, bisogna andare a vederli con una certa indulgenza di fondo. Non provavo una sensazione simile da anni, da quando andai ad assistere a  “Le baccanti” di Euripide, con protagonista una magnifica Pamela Villoresi, al Teatro greco di Segesta. Però non sempre ci si riesce. In un periodo storico come quello attuale, dove in Iran una donna può essere condannata a morte davvero senza motivo, anzi no, per il semplice motivo che i maschioni al potere si cagano sotto per le capacità di sacrificio femminili, purtroppo la mia indulgenza va a farsi benedire.

 

Ommioddio, quanta paura di fare flop!!! Da qui, assumere lo status di zoccola è un soffio

Che poi mi chiedo una cosa: ma possibile mai che in ogni epoca, per moltissima parte del genere maschile, il sesso, la vagina, gli amplessi, siano sempre stati sottoposti ad una necessità moralizzatrice e normatrice senza paragoni? Ommioddio, quanta paura di fare flop!!! Da qui, assumere lo status di zoccola è un soffio.

Ma poi può arrivare il teatro a dire la sua, con una naturale dose di ermeticità, col dimostrare senza svelare, con l’alludere elegantemente, insomma con la sua magia. E allora trovi sul palcoscenico un uomo che interpreta la madre e una donna nel ruolo del patrigno. Insomma, giustizia sia fatta. Nella versione di ieri sera, la vicenda di Salomé ha assunto in sé, a mio avviso, la responsabilità di una voce dissonante che ho davvero apprezzato, restituendo al pubblico una narrazione moderna, dove la sessualità si discosta dal genere. Salomé ha agito secondo i condizionamenti del gruppo sociale di riferimento, senza scampo, privata di ogni alternativa. Sì privata, può suonare strano, ma accade, ancora oggi e molto più spesso di quanto si creda.

Bravi gli attori e il regista, giovani e appassionati. Consapevoli delle proprie responsabilità, hanno lavorato con affiatamento e sincronia. E poi giù tutta la commozione a fine recita, quando gli applausi legittimano ogni sforzo, ogni slancio, ogni devastante incertezza che gli spettacoli dal vivo portano con loro.

Applausi!

Abbiamo visto “Salomè” al Teatro Tram di Napoli

regia Francesco Lonano

dramaturg Sabrina Fasanella

con Eleonora Cimafonte, Dario Guidi, Katia D’Ambrosio

costumi Daiana Biondo

musica dal vivo Dario Guidi

scene Fonderia Artistica Ruocco

produzione Collettivo Cenerentola

Foto di Gloria Fusillo e Franco Rabino

Si ringrazia l’Ufficio Stampa nella persona di Chiara Di Martino

Ritengo la narrazione uno dei piaceri più appaganti della vita. Amo le auto, da sempre. Il primo giocattolo che mi ha calmato da neonato è stato un modellino in latta. Adoro scrivere delle quattro ruote. Adoro scrivere in generale. Ci metto anima, istinto, ritmo e passione.