È fiera, la sartorina. Diversa, e fiera. Invertita, e orgogliosa. Si specchia negli occhi gonfi di disprezzo di chi la guarda, e vi si specchia senza vergogna: anzi con pienezza di sè, con ferma e impavida identità.
non può che esistere in forma di malattia, espressione di un male contagioso
Non dovrebbe esistere, la sartorina. La sua stessa esistenza è negata, dichiarata impossibile, non tanto perché contronatura, non tanto perché effeminata, quanto perché qualsiasi sfumatura diversa dal pienamente uomo, accostata al maschio italico, è una contraddizione in termini senza ritorno, un ossimoro che il fascismo non può comporre in alcun modo. È un cane che miagola, una tigre mansueta. Non può esistere, semplicemente; e, se esiste, non può che esistere in forma di malattia, espressione di un male che dev’essere per forza anche contagioso. E i suoi portatori devono essere isolati, emarginati, soggetti a quarantena. Non tanto perché il male si possa curare, fatto peraltro del tutto marginale, ma affinché non si diffonda tra la popolazione sana.
Ma la sartorina non sa di essere malata. Non lo crede, non lo considera nemmeno per sogno. E nemmeno si lagna. Si sdogana, piuttosto, imponendo se stessa in un tempo in cui imporsi in tal modo era molto più che insano, assai più che oltraggioso. Era ribelle, giacobino, partigiano persino e ante litteram, molto prima ancora che i partigiani trovassero modo di esistere davvero.
E la sua storia frattanto si fa sempre più spessa, sempre più densa, sempre più intrisa di soprusi quotidiani, di violenze ordinarie, di umiliazioni inflitte per diletto.
uno dei delitti di genere insieme più vergognosi e dimenticati della storia nazionale
A casa Santanelli però la sartorina non appare stanca, non sembra cedere, e la sua dignità, così profonda, così austera, non arretra di un centimetro. Resta passionale, ardita, pungente. Pettegola come una vecchia portinaia. La luce che ha negli occhi riflette imperterrita il cuore scritto per lei da Antonio Mocciola; la voce effeminata è espressione gioiosa del fiato prestatole da Diego Sommaripa, che vestirà con volto e voce mille maschere, conducendoci per mano dove solo l’arte sa indicare. Non sarà una quarantena, un esilio, un confino a farle del male. Mettetela pure sotto i piedi, nascondetela sotto il tappeto come se fosse polvere. La sartorina rinascerà come araba fenice, e porterà innanzi le sue battaglie. Solo un amore mancato, solo un inganno del suo cuore giudicato difettoso, può farle del male.
Insieme a lei nascerà al confino una coscienza gender, sollecitata dall’isolamento degli invertiti, tanto voluto dal Regime, nel quadro di uno dei delitti di genere insieme più vergognosi e dimenticati della storia nazionale, che Mocciola ha il merito di avere dissepolto, restituendo in forma d’arte le parole alla Storia.
Abbiamo visto:
Vito, la sartorina
di Antonio Mocciola, con Diego Sommaripa
nell’ambito della rassegna Il Teatro Cerca Casa
in casa Sommaripa
Si ringrazia l’Ufficio Stampa