Mettersi nei panni altrui, esercitare il vero ascolto. Quello avulso dalla curiosità, libero dai pregiudizi, soprattutto esente dal fardello del giudizio. Un esercizio di empatia, del quale siamo tutti responsabili. Perché nei panni degli altri ci sono anche i nostri, perché degli altri abbiamo bisogno per compiere le nostre esistenze. Perché nessun uomo, o donna, è un’isola.
Ed eccoci quindi qui, seduti ad ascoltare. E ascoltando, ricordiamo. Ci vengono alla mente l’amico ignorato, il conoscente giudicato, la malattia del parente che siamo interessati a conoscere non tanto per il parente, quanto per la malattia. Perché i nostri ego faticano a scansarsi, a mettersi da parte. Sono resistenti all’accantonamento, fingono sapientemente di voltare le spalle ma poi, di soppiatto, li ritroviamo di nuovo al centro. Come sempre. E con noi al centro ignoriamo la storia dell’amico, giudichiamo secondo i nostri personalissimi parametri la vita del conoscente, ci interessiamo alla malattia del parente solo perché temiamo che possa venire poi il nostro turno.
i nostri ego faticano a scansarsi, a mettersi da parte
Siamo famelici di storie altrui, ma non per farle nostre. Ci servono per divorarle e asservirle ai nostri scopi, ai nostri ego, alla nostra identità. Ci servono per consolidare le nostre opinioni, per continuare a pensarla come sempre, per ribadire a noi stessi di essere sempre nel giusto.
Ma oggi, nel salotto di casa Santanelli, siamo seduti ad ascoltare. E ascoltando Gioia Miale e Alberico Lombardi, accompagnati dalle musiche del M° Sergio Mautone, realizziamo che la misura dell’empatia non è l’ascolto, non soltanto almeno. È il silenzio che serve. Il silenzio interiore che zittisce le invidie, i giudizi, le reprimenda, i pregiudizi. Il silenzio interiore che prepara lo spazio, imbandisce tavola per accogliere degnamente l’altro e farlo nostro ospite per qualche minuto, per qualche ora.
Io sono l’altro, dicono Gioia e Alberico.
Siamo famelici di storie altrui, ma non per farle nostre
Tacciamo quindi, viaggiando sulle note e tra le parole di Vecchioni, De Gregori, Concato e Neffa, e facendo nostri racconti altrui con altri per protagonisti, rinunciando ai nostri ego, sperimentando l’emozione del vero incontro.
È un incontro che spesso ci spaventa, perché la nostra esperienza non ci prepara mai davvero all’impatto col diverso da noi, col diverso dalla norma. Ma è in quell’impatto che si esaurisce in fondo il senso dell’umanità e il senso stesso dell’esistenza umana. Non basta sentirci, e questo già lo sappiamo: bisogna ascoltare. Ma un passo al di là dell’ascolto c’è l’empatia, che tanto ci fa timore quanto ci costringe a metterci in discussione. È spaventosa perché potente. Potente perché può demolire le nostre convinzioni, costringendoci alla fatica di doverne ipotizzare, costruire, consolidare di nuove. Ed è tanto più potente quanto più diverso è l’altro da noi.
Il silenzio interiore che prepara lo spazio, imbandisce tavola per accogliere degnamente l’altro
Nel confronto con le differenti opinioni, con culture diverse, con dolori e gioie grandi e piccole degli altri si realizza la nostra crescita culturale. Ma come uomini e donne, in termini di crescita interiore, quella si realizza non attraverso il confronto, ma per mezzo dell’accoglienza. Di una accoglienza il più possibile libera, senza riserve, senza giudizi o pregiudizi.
Una grammatica dell’amore incondizionato, condensata in uno spettacolo per musica e parole che ci connette con l’essenziale e ci costringe a ignorare il dito per guardare alla Luna.
Abbiamo visto:
Io sono l’altro, di e con Alberico Lombardi e Gioia Miale
Musiche del M° Sergio Mautone
nell’ambito della rassegna teatrale
Il teatro cerca casa per la direzione artistica di Manlio Santanelli
Si ringrazia l’Ufficio stampa