La Macchia, maschera dell’integerrimo

Ricorda un po’ la riflessione pirandelliana sulla maschera, quel ritratto d’uomo integerrimo, incorruttibile, tutto d’un pezzo, che caratterizza il protagonista maschile de La Macchia, di Fabio Pisano e con Michelangelo Dalisi, Emanuele Valenti e Francesca Borriero, in scena fino al 15 gennaio 2023 al Piccolo Bellini di Napoli.

Ricorda in particolare La carriola, ma come un tratto d’ispirazione lungi dalla scopiazzatura, nei tratti d’evasione che si concede, nella passione per il ciclismo, nella liaison con l’istruttrice di nuoto del figlio, alla quale velatamente s’accenna. Ma c’è anche un po’ Arendt e di banalità del male, nella perversione del rapporto col potere e nell’abuso di quello, che si concede a spese dell’antagonista a dispetto e nonostante la propria rettitudine morale, portata innanzi con tenace orgoglio, e si direbbe assai più per orgoglio che non per autentica vocazione.

c’è anche un po’ Arendt e di banalità del male, nella perversione del rapporto col potere e nell’abuso di quello

Un testo che scava nel dettaglio delle vere o presunte integrità, con la certezza di trovarvi dei tratti opachi, dei luoghi torbidi, delle minuzie caliginose, quantomeno una pagliuzza nell’occhio. L’incoffessabile è parte di tutti, pare dirci Pisano e, al di là della maschera sociale, non risparmia davvero nessuno.

Ecco quindi che il giudizio si fa più spietato nei confronti dell’integro scoperto in flagrante che non del depravato manifesto: il procuratore delle coscienze chiama qui in causa l’ipocrisia – un omaggio che il vizio rende alla virtù (François de La Rochefoucauld) – per sentenziare la massima condanna: a una vita intera d’alto tenore morale non si perdona neanche uno sgarro, tanto fa invidia, tanto fa persino rabbia, che bisogna per forza coglierla in fallo, come fosse un dovere, per additarla e per poi punirla.

Perché, così dice il comune sentire, siamo tutti peccatori, e facciamo tutti schifo nella medesima misura.

Ma andando oltre, volando sopra il senso comune, direbbe Faber: “Se non sono gigli son pur sempre figli, vittime di questo mondo“. Solo pensando a questo si può resistere alla tentazione di scagliare la prima pietra all’indirizzo di tale sconosciuto, vittima del suo stesso potere, vittima della sua stessa maschera, ancor più vittima di ogni misero tentativo di sottrarvisi senza incorrere nella mannaia del giudizio della gente.

E c’è da scommetterci, nel giudizio inclemente della propria coscienza.

Meglio quindi evadere, ritornare al ciclismo, alla tappa in salita. Una delle più difficili, quella che seleziona. Perché è in salita, nel ciclismo come nella vita, che si manifestano le debolezze, che i più forti si rivelano meno forti. E i meno forti, talvolta, più forti.

Abbiamo visto:
La macchia
di Fabio Pisano
con Michelangelo Dalisi, Emanuele Valenti, Francesca Borriero
al Teatro Piccolo Bellini di Napoli

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Si ringrazia l’Ufficio Stampa