Fedra è l’eroina del mito e del mondo contemporaneo, un’eroina tormentata, delirante, sconvolgente. Un’eroina che irrompe sulla scena con la stessa forza dei personaggi femminili euripidei. Una donna che combatte contro il proprio passato con tutte le proprie forze, fin quando non si accorge che è sempre stato lì accanto a lei e non l’ha mai abbandonata.
Una scissione dell’io messa efficacemente in scena
Una straordinaria Titti Nuzzolese interpreta Chiara, alle prese con i propri demoni, col suo odio distruttivo contro se stessa e la donna che è stata Fedra: una peccatrice, una seduttrice. Chiara non riesce a perdonarsi per il suo passato che minaccia di diventare presente, e vuole evitarlo a tutti i costi per proteggere da Fedra chi ama. Chiara è una donna come tante, ancora imprigionata nei pregiudizi e nelle convenzioni sociali, come si vede lei e come la vede Ippolito; non riconosce la forza nelle sue lacrime e nella sua lacerazione, come sottolinea don Cataldo (in scena con Antonio Buonanno).
È in balia di un conflitto interiore dai contorni senecani, un conflitto che si consuma tra Fedra, in preda al furor della passione, e Chiara, che non vuole cedere all’altro lato di sé. Una scissione dell’io messa efficacemente in scena, che invita ad analizzare ogni lato della propria anima, con la consapevolezza che non è possibile fuggire da se stessi.
Ed è proprio la passione d’amore a sconvolgere nel profondo il suo animo, quella che non riesce a vedere e che la consuma per il giovane Ippolito. Errico Liguori interpreta Ippolito Costantini, che rispecchia il suo corrispettivo greco, imperturbabile e sdegnato nei confronti di Chiara: la ritiene un’incapace, una peccatrice, una manipolatrice.
La giudica, davanti a quel Dio nella cui luce sostiene di camminare. Dio infatti pervade tutto il dramma, le sue leggi sono le protagoniste di un antico conflitto umano: è il conflitto sofocleo tra leggi scritte e non scritte, che l’autrice Marina Salvetti e il regista Gianmarco Cesario hanno saputo finemente reinterpretare alla luce delle fragilità dell’uomo moderno, nel dialogo tra Ippolito e il rettore del seminario, Angelo (alias Antonello Cossia).
Dio è al contempo conforto e ripudio, incertezza, dubbio: il dubbio atroce che non esista giustizia divina di fronte ai casi della vita, che l’uomo sia in balia di un destino capriccioso e inestricabile, cui è inutile ribellarsi: altro tema peculiare del teatro greco, che l’autrice declina alla luce dei tempi moderni, restituendo allo spettatore una visione a lui drammaticamente vicina.
quando sembra che «è tutto buio», in realtà, ci siamo solo smarriti
L’ambiente del seminario consente di rappresentare una tragedia che mette in scena le debolezze di uomini e donne, pronti a colpevolizzarsi e a giudicare i propri fratelli e sorelle, a distinguere nettamente il bianco dal nero nelle vite degli altri, tralasciando le sfumature.
La scenografia, essenziale, sottolinea e amplifica il significato dell’esistenza del grigio nelle vite di tutti noi, senza distinzioni nette tra il bianco e il nero: ciò che gli attori sono in grado di trasmettere attraverso i loro personaggi, dinamici e aperti al confronto con gli altri e con se stessi.
Lo spettatore si ritrova catapultato in una dimensione catartica dell’esistenza, parte di un dramma completamente nuovo e complesso, come complessa è la nostra realtà, esortato ad accettare l’invito finale di autore e regista a perdonare, ad aprirsi e a sperare, perché quando sembra che è tutto buio, in realtà, ci siamo solo smarriti.
Abbiamo visto:
«Io sono Fedra»da Euripide
di Marina Salvetti, regia di Gianmarco Cesario
con Titti Nuzzolese, Antonio Buonanno, Antonello Cossia, Errico Liguori
e gli allievi del laboratorio di teatro del TRAM: Saverio Di Giorno, Cesare Leonardis, Fabio Paesano, Stefania Palumbo, Eduardo Serafini, Alessandro Rea
produzione Teatro dell’Osso / TRAM
al Teatro Tram di Napoli. In scena fino al 26 Febbraio 2023Info qui. Si ringrazia l’Ufficio Stampa