I paradossi della vita, l’insensatezza dell’esistenza, la ricerca di uno scopo, il vuoto: Theodoros Terzopoulos mette in scena il suo riadattamento del celeberrimo dramma di Beckett Aspettando Godot.
com’è il genere umano, intrappolato tra la coscienza di essere niente e il voler disperatamente significare qualcosa
Stefano Randisi ed Enzo Vetrano sono bravissimi a dare voce e corpo ai protagonisti della vicenda, Vladimiro ed Estragone, insieme a Paolo Musio, Giulio Germano Cervi e Rocco Ancarola, che interpretano i propri personaggi in tutte le loro possibili sfaccettature. La scena in cui si muovono si presenta estremamente significativa per l’interpretazione che ne ha voluto fornire il regista: gli attori sono sospesi in essa, e intrappolati, proprio com’è il genere umano, intrappolato tra la coscienza di essere niente e il voler disperatamente significare qualcosa, voler circoscrivere l’indeterminabile.
La concezione dello spazio scenico denota una profonda reinterpretazione della scena originale, con elementi che rimandano alla simbologia cristiana, quasi a voler sottintendere la speranza ultraterrena che l’uomo nutre.
I personaggi non sono solo statici, ma trasmettono la propria fisicità occupando tutto lo spazio a loro disposizione. La sensazione di sospensione e di vuoto ci viene raccontata da Vladimiro ed Estragone: vorrebbero essere ancorati a terra, desiderano aggrapparsi alle certezze comuni, ma è per loro impossibile: tutto ciò in cui debolmente credono è messo in discussione, persino il tempo che trascorrono restando in attesa.
Anche i personaggi che si muovono saldamente al suolo minano le convinzioni e i valori universali, e mettono in dubbio l’esistenza d’un’unica verità e d’un’unica visione del mondo, del tempo, dello spazio.
Lucky (Giulio Germano Cervi) e il messaggero (Rocco Ancarola), da terra, e Pozzo, dall’alto, con una spettacolare entrata in scena, esplicano e portano a compimento lo strappo pirandelliano nel cielo di carta, che percorre tutto il dramma.
La mancanza di certezze, il non senso, il nulla, vengono affrontati in tutti i loro paradossi, provocando di volta in volta reazioni opposte e contrarie: un riso nuovo e delirante di fronte all’assurdo, alla consapevolezza sartriana che l’uomo è niente; per altro verso, irrompe anche un’impotente rassegnazione davanti all’inevitabile corso della vita e della volontà che è necessaria all’essere umano in attesa che avvenga una rivelazione, che qualcosa di prodigioso e ineffabile si proponga finalmente in coda al corso degli eventi.
E forse, lo scopo della vita è la sua stessa ricerca
Terzopoulos racconta come gli esseri umani sentano perennemente la necessità di un fine e di una fine a tutto questo, due cose che non riescono nemmeno a intravedere, ma sperano continuamente di afferrare.
Per questo l’uomo ha bisogno di illudersi: si nutre dell’illusione che esista davvero uno scopo alla sua esistenza, e che questa sia reale e a portata di mano. È l’unica cosa che gli dà la forza di continuare a vivere; è l’unica cosa che gli dà la forza di continuare ad aspettare.
E forse, lo scopo della vita è la sua stessa ricerca, che porta a un’ostinata attesa di qualcosa di cui non siamo in grado di distinguere i contorni, ma che riconosceremo in maniera incontrovertibile quando l’avremo di fronte.
Ecco perché, nonostante tutto e nonostante la consapevolezza che «non accadrà mai niente», siamo ancora qui ad aspettare ognuno il nostro Godot: perché non c’è altro da fare e non ne possiamo fare a meno.
Abbiamo visto
Aspettando Godot
Di Samuel Beckett, per la traduzione di Carlo Fruttero
Regia, scene, luci e costumi di Theodoros Terzopoulos
Con Paolo Musio, Stefano Randisi, Enzo Vetrano e Giulio Germano Cervi, Rocco Ancarola
Produzione Emilia Romagna Teatro ERT / Teatro Nazionale, Fondazione Teatro di Napoli – Teatro Bellini
in collaborazione con Attis Theatre Company
Info qui https://teatrobellini.it/
Si ringrazia l’ufficio stampa