Una serie Netflix, ambientata in un’epoca a me lontana, mi ha dato il senso e la misura di quanto la questione femminile sia tutt’ora un tema urgente e scandalosamente irrisolto. “La legge di Lidia Poët” è una produzione fruibile in streaming, attualmente tra le più amate, e si ispira, per la sua protagonista, all’Avvocata Lidia Poët, nata e vissuta a cavallo tra l’800 e il 900. Laureatasi in legge, tentò la professione, ma l’Ordine degli avvocati, gestito da soli uomini di vedute a dir poco ristrette e miopi, le impedì di farlo, negandole l’iscrizione. Come raccontato dalla serie, Lidia si appoggiò allo studio legale del fratello, rimanendo quindi nell’ambito dell’avvocatura, pur non potendola esercitare in prima persona. Si dedicò a mille battaglie importanti, una tra le tante, il diritto di voto alle donne. Ottenne finalmente l’ammissione all’Albo solo all’età di 65 anni.
la storia di una figura davvero preziosa per la crescita culturale e sociale del nostro Paese, ma sconosciuta alla maggior parte di noi
Nei secoli è sopravvissuta una mentalità che vede nel genere femminile una limitazione, una licenza allo sfottò, allo scherno, al sopruso. Oggi, in alcuni Paesi del mondo, imprigionare una donna, torturarla, ucciderla è normale. Oggi, in alcuni Paesi del mondo, impedire ad una donna di guidare un automobile, un aereo, un treno è normale. Oggi in alcuni Paesi del mondo è ancora normale vietare alle donne di fare proprie scelte poiché non in sintonia con la natura di madre. In pratica, il principale ruolo femminile, per tanti, è quello di incubatrice per futuri maschilisti guerrafondai. Pazzesco solo a pensarlo, ma amaramante vero.
Penso a Matilde Serao, penso a Marie Curie, penso a Rita Levi Montalcini, penso alle migliaia di suffragette. Se non fossero mai esistite, dove saremmo oggi?
Oltre la storia, resa volutamente leggera, a tratti quasi superficiale, rimane un sottotesto che rimanda ad una società mondiale ancora davvero malata, incapace di guardare dentro sé stessa, dotata di tutte le conoscenze opportune, ma priva della volontà ferrea che invece era dote inestimabile dei nomi che ho citato fino a questo punto.
Avanza liscia e gradevole, fondendo il genere commedia con il genere investigativo alla “Enola Watson”, giusto per rimanere in casa Netflix
Per chi non l’avesse ancora visto, siate pronti a sparare in alto il volume in alcuni passaggi per via del parlare fra i denti della De Angelis, scelta immagino del regista. Innegabili però, la bravura e la personalità di quest’attrice. Ma possibile che nessuno si sia accorto di questa cosa prima di mandare in onda il tutto? Spiritoso e perfettamente in ruolo Scarpetta, altrettanto Pier Luigi Pasino. Però continuavo a chiedermi, durante la visione, con quali criteri si facciano i cast. Un minimo di somiglianza tra genitori e figli non sarebbe, quantomeno, auspicabile? A meno che non fosse stata adottata, cosa che non viene accennata, mi è apparso poco verosimile che Sinèad Thornhill potesse impersonare la figlia di Pasino e Sara Lazzaro.
Lidia è praticamente disoccuppata: come può permettersi di vestire in maniera tanto elegante? Delle due l’una, o le affibbi una rendita o la rappresenti più dimessa. Allo stesso modo, come può in un episodio comprare biglietti della prima di Giselle per un bel gruppo di persone, in modo da risolvere un caso, e poi, in un successivo episodio chiedere soldi al fratello per altre più economiche esigenze? Per poter disporre di una bici vende una vaso regalatole dal suo amico-amante, e prontamente acquista un abito che le permette di pedalare più comodamente. Strano, no?
Non dico che le licenze in ambito artistico non debbano esistere, ci mancherebbe. Andrebbero a privare le opere stesse di elementi fondamentali come l’immaginazione, la fantasia, l’incanto. Però mi aspetto, da una serie che non dà certo l’idea di una low budget, un minimo di coerenza in più.
In ogni caso, godetevela, divertitevi, seguitela e consigliatela. Lo dobbiamo a Lidia Poët e a tutte quelle come lei
Foto da https://www.facebook.com/netflixitalia