Medea al TIN

…cercando la fine nell’annullamento di sé, innalzando l’antitesi a paradigma risolutivo…

Nere le donne intorno a Medea, di nero vestite e nere le occhiaie. Nere di pianto, nere di tristezza e terribili presagi. Il mito di Medea precede la sua uscita in scena, ma a noi spettatori non basta mai. Vogliamo vederla, vogliamo sapere, comprendere, sentire le sue ragioni, avere ancora la prova che accade davvero, che il peggio ritorni, la sciagura si abbatta, il dramma si consumi, la tragedia si compia, come un rito, una liturgia, come una interminabile scivolata fino al centro dell’inferno, fino al cuore dell’Ade, nel tentativo di liberarsi dal male andando a sfidare la sua forma più irrimediabile, abbracciando con coscienza il ributtante, l’irricevibile, cercando la fine nell’annullamento di sé, innalzando l’antitesi a paradigma risolutivo.

Rosalba Di Gi

Rosalba Di Girolamo

…e c’è da pensare a quante come lei tocca oggi la stessa sorte, a quante come lei non è toccato imbarcarsi sulla robusta Argo

La storia di Medea è sicuramente il mito più controverso, traumatico, spaventoso  che la tradizione ci abbia tramandato, e forse, proprio per questo, sempre attuale, sempre punto fermo con cui attori, registi e sceneggiatori sentono il bisogno di confrontarsi. Solitamente, quando assisto ad una rappresentazione teatrale, si innesca nel mio cervello un meccanismo che fa partire un secondo testo. Gli attori recitano le proprie battute e la mia testa me le traduce in un sottotesto che mi porta in mille altre storie, in mille altre realtà che aleggiano sul palco, intorno ai protagonisti, volano sul pubblico, attraversano i ricordi e mi riportano sulla mia sedia, per poi ripartire, ancora e ancora. Spesso non rammento una sola parola dei dialoghi, ma l’anima dello spettacolo mi rimane dentro. E a me non resta che ringraziare per questa magia. Questa volta no, nessun sottotesto, nessun volo, la magia era già tutta lì, a pochi centimetri dalla punta delle mie scarpe, su una spiaggia chissà dove, forse del basso Mediterraneo, non saprei, non è importante. Dopotutto, per gli esuli, ogni luogo è solo la speranza di casa, e non sempre quella speranza si trasforma in certezza. Per Medea non accadde, e c’è da pensare a quante come lei tocca oggi la stessa sorte, a quante come lei non è toccato imbarcarsi sulla robusta Argo. Tutti i voli della mia testa sono stati catturati dalle parole di una cantastorie che amo tanto, siciliana, con il suo caratteristico accento, il suono tipico di certe consonanti, che mi diceva che la Magna Grecia era lì, in teatro, mi chiedeva di non allontanarmi, di resistere al racconto, di assistere al dramma, di farne parte, di contribuire con il tumulto dell’anima, con il dolore personale, con l’empatia e la pietas. Mi ha inchiodato di fronte ai fatti, alla certezza che oramai stava accadendo: Giasone aveva una nuova sposa. Quel canto di dolore mi ha informato che non c’era bisogno di alcuna traduzione, era tutto già lì!

Gianni Sallustro

…anche in un mondo sempre meno tassonomico, è ancora il femminino ad avere la peggio

E mai ho potuto staccare gli occhi. Ogni parola è stata preziosa, ogni minima tensione muscolare, ogni increspatura di labbra. Forte il pianto di Medea, disperati i lamenti della sua nutrice, atterrite le donne intorno a loro. Donne, tutte donne, in una realtà sempre più fluida, dove sembra che anche acqua ed olio riescano finalmente a fondersi, questa disperazione così genuinamente di genere, mette in rilievo che tutt’ora, anche in un mondo sempre meno tassonomico, è ancora il femminino ad avere la peggio. Preferisco non dilungarmi sul carattere protofemminista di Medea. Tra l’altro è in buona compagnia. Sono certo che nell’altro mondo sarà diventata amica di Salomè, Artemisia Gentileschi, Matilde Serao e tante altre, ma qualche domanda bisogna porsela di certo in merito alle ragioni delle sue azioni.

Non ho potuto staccare gli occhi, perché gli occhi di chi mi guardava dal palco avevano catturato i miei, come se si stesse compiendo un incantesimo. Espressiva Nicla Tirozzi, addolorata, sola, impotente, arresa all’inevitabile. Splendidamente ha chiuso il cerchio del dolore con una ninna nanna, consolatoria, ipnotizzante, perché il terrore, la paura, vanno sempre, in qualche modo domati.

Medea è arrivata con la sua furia, sussultante di livore, tanto da far tintinnare i suoi gioielli. Occhi dipinti, una linea nera verticale a separarle la fronte in due parti. Quella linea ho puntato, come se fosse il segno di un mirino ad alta precisione. Ho circoscritto la mia visuale sul suo viso. Ogni sussulto di zigomo, di palpebra, di labbra li avevo chiari davanti. Ogni parola, ogni ragionamento mi è arrivato crudo, cristallino nel suo orrore. Rosalba Di Girolamo aveva fuoco negli occhi e cattive promesse nella voce. Capace di rendere assolutamente vera una finzione teatrale, mi ha conquistato completamente. Mentre la guardavo mi chiedevo come fosse possibile che si sentisse davvero Medea. Ad un certo punto ha pianto, lo so, ne sono certo. Lo ha fatto davvero, ho seguito la traiettoria delle sue lacrime giù per gli zigomi. Applausi!

Toccante il dolore di Giasone di fronte alla morte dei figli, Gianni Sallustro ha saputo restituire il peggior lutto che un essere umano possa provare. Ciro Pellegrino, asciutto, austero, in poche battute ha chiarito le ragion di Stato di Creonte.

Ciro Pellegrino

Simbolicamente geniali ed indovinati i costumi. Hanno parlato come mai un pezzo di stoffa è riuscito a fare. Le guardie come tamarri scagnozzi credo siano stati davvero la celebrazione dell’arte teatrale, il re vestito come un boss della mala ha detto molto più di un testo intero! Curioso di vedere, appena sarà possibile, come vestirà, Rosa Ferrara, altre storie.

…regia sempre dinamica, ritmata, generosamente al servizio del testo, e non è cosa scontata

Non conoscevo il Tin. Molto particolare nella sua struttura. Ieri sera mi chiedevo se non fosse stato ricavato dall’antica cisterna dello stabile in cui si trova. A  Napoli si costruivano i palazzi ricavando parte del materiale scavando proprio dove si sarebbero erette le mura, e lo scavo stesso diventava cisterna per l’approviggionamento dell’acqua. Chissà, forse anche in questo caso. La struttura ad invaso, a catino, a piccola arena ha permesso a noi pubblico di sentirci parte integrante della vicenda. Gli attori hanno occupato ogni spazio, ogni anfratto, riempiendo di voci e presenza fisica un luogo di per sé già suggestivo. Merito della regia, sempre dinamica, ritmata, generosamente al servizio del testo, e non è cosa scontata. Un mio personale grazie a Gianmarco Cesario.

La piece, a Napoli per sole tre date, con l’ultima questa sera, merita un post it sul frigorifero, per ricordarsene appena sarà riproposta. Non perdetela, assolutamente. Una rappresentazione con così tanto respiro, con così tanta passione non è usuale, in un contesto in cui le grandi sale hanno bisogno di numeri per sopravvivere, numeri in dote troppo spesso alla stupidera televisiva, e piccole sale che, se non premiate dal pubblico, rischiano di sparire.

Questa Medea mi conferma il fatto che il teatro bello, di qualità, va cercato, stanato, in special modo nelle piccole realtà, in quei magnifici laboratori artigianali come il Tin, Teatro Instabile Napoli, di Vico del Fico al Purgatorio, e già solo l’indirizzo la dice lunga…

Tanta ampiezza, tanta bellezza mi hanno ricordato una magnifica esperienza, di diversi anni fa, a Selinunte. L’unica paragonabile.

Abbiamo visto “Medea”

al TIN Teatro Instabile Napoli

con

Rosalba Di Girolamo (Medea) | Gianni Sallustro (Giasone)
Nicla Tirozzi (Nutrice) | Ciro Pellegrino (Creonte)

e con i giovani attori dell’Accademia Vesuviana del Teatro e Cinema
Tommaso Sepe, Stefania Vella, Nancy Pia De Simone, Elisa Sodano,

Roberta Porricelli, Noemi Iovino, Carlo Pio Sepe, Anna Franzese, Lucia Saviano, Sara Ciccone,

Maria Rosaria Martinelli, Domenico Nappo, Enrico Anunziata
e i piccoli Giovanni Menna e Rachele Ambrosio

Costumi Rosa Ferrara
Consulenza Sonora Pasquale Ruocco
Regia Gianmarco Cesario

Si ringrazia l’Ufficio Stampa nella persona di Diletta Capissi

 

 

Ritengo la narrazione uno dei piaceri più appaganti della vita. Amo le auto, da sempre. Il primo giocattolo che mi ha calmato da neonato è stato un modellino in latta. Adoro scrivere delle quattro ruote. Adoro scrivere in generale. Ci metto anima, istinto, ritmo e passione.