Incontrarsi. Porte da spingere, finestre da spalancare all’altro. Identità nuove da integrare nella propria. E tutti i pezzi che sembrano andare al posto giusto, come per magia. Ma poi accade che un pezzo non si incastri più perfettamente: occorre spingerlo in sede, aggiustarlo leggermente. Capita, non ci si fa nemmeno caso. Ma il fatto è destinato a ripetersi, e accade poi che un pezzo non ne vuole sapere di incastrarsi. Forse è andato storto. Forse appartiene a un puzzle differente.
Si realizza così in scena il conflitto tra lo spazio intimo e il mondo esterno
Conoscersi equivale sempre anche un po’ a ferirsi. E tanto più profondamente ci si conosce, tanto più marcati saranno i segni di quelle ferite che periodicamente ci si procura a vicenda. Conoscersi equivale a nascondersi. Perché dietro le porte spalancate ce ne sono di semplicemente aperte, e dietro quelle ce ne sono di socchiuse. E poi ci sono quelle chiuse, dal transito vietato. Talvolta vietato persino a noi stessi, figuriamoci all’altro. Così sorge il problema del limite, perché ogni accettazione dell’altro implica anche un limite, che coincide con quello della propria individualità, delle stanze inaccessibili, dei segreti che rimangono soltanto nostri.
Come conoscersi, senza ferirsi? Come accogliere, senza dovere poi respingere? Come sperimentare la presenza dell’altro senza perdere in libertà?
Sono queste le domande alle quali tenta di dare una risposta Sergio Del Prete, col suo Sconosciuto, in attesa di rinascita, in programmazione alla Sala Assoli di Napoli.
Un testo intenso, delicato, che ci precipita nell’agone della vita, simbolicamente rappresentato in una scena dai contenuti minimali. Perché la scena è tutta nel testo, e in quell’agone siamo fatalmente da soli, ad affrontare la vita, la nascita, i successi, la delusione, la morte. In una cornice illuminata che sembra rappresentare il nostro spazio intimo, Del Prete si muove ai margini, accogliendo ai confini di sè il padre, la madre, un fratello mai nato e una prostituta, donna con la quale intrattiene una connessione dai tratti magnificamente umani.
Un testo intenso, delicato, che ci precipita nell’agone della vita
Si realizza così in scena il conflitto tra lo spazio intimo e il mondo esterno, introducendo una dimensione surreale e dai tratti onirici, che operando per simboli tratteggia con precisione il ruolo cruciale della comunicazione intima con chi amiamo e chi ci ama.
Costretto alla propria intimità da una realtà soverchiante, il protagonista del testo non riesce ad accogliere l’amore che ai margini di sè, relegandolo in periferia e così credendo di proteggere il territorio più intimo della sua individualità. Ma sta rinunciando a tuffarsi in mare, nel mare profondo dell’apertura di se stessi agli altri, dove soccombere è realistico quando gioire. Per farlo, suggerisce un finale di scena come raramente se ne vedono a teatro, bisogna preferire la vita.
ph: Casa del Contemporaneo, NTF